Un approccio economico al Covid19

Premessa

Questo documento propone un approccio complessivo ai problemi che l’economia italiana sta vivendo, come conseguenza della pandemia da corona virus. Si tratta di problemi nuovi, mai affrontati nella letteratura accademica, senza precedenti da cui si possano dedurre best practice; portano quindi, nella formulazione, ad immaginare soluzioni che richiedono la necessità di sgombrare il campo dagli approcci tradizionali. 

La strada per immaginare una cura a questa grave pandemia economica ci obbliga a mettere da parte una serie di taboo, non sono consentite sperimentazioni o azioni graduali: ne va della vita del paziente. La sopravvivenza è legata sostanzialmente alla velocità ed alla profondità degli interventi. Il rischio è il collasso della nostra società.

Con documenti successivi approfondiremo, quando è necessario, gli aspetti tecnico-realizzativi.

La situazione attuale

La crisi che stiamo vivendo, ormai è chiaro a tutti, ha caratteristiche di eccezionalità per l’imprevedibilità della sua durata, per l’estensione globale e per la forzata interruzione di un grande numero di attività.

La metafora della guerra, anche se suggestiva, non ci aiuta a comprendere come gestire il dopo, che potrebbe essere molto drammatico per le famiglie e le imprese. I motivi fondamentali sono:

● dopo la guerra vi è la ricostruzione, quindi la necessità di far ripartire attività produttive ad alta intensità di lavoro e non solo di capitali;

● durante la guerra l’industria delle armi produce molto e consuma molto;

● le guerre hanno sempre prodotto innovazioni tecnologiche che poi hanno avuto una pronta applicazione sulle attività produttive verso il mercato;

● lo spirito della ricostruzione è positivo ed è caratterizzato dal fare per il futuro.

È evidente che nel nostro caso, pure se l’industria della salute è pienamente attiva, non ha né le caratteristiche di consumo, né quelle di generare innovazione. anche se in realtà questa crisi ci stimolerà a mettere a punto innovazioni di tipo organizzativo e relazionale.

Non dobbiamo ricostruire il patrimonio edilizio o gli stabilimenti di produzione ed è difficile prevedere come ne usciremo dal punto di vista psicologico. 

Il primo impegno è quello di appiattire la curva dell’epidemia per consentire agli ospedali di organizzare in maniera adeguata le strutture per l’emergenza: questo implica un notevole dispendio di tempo. Tuttavia, maggiore sarà il tempo necessario per appiattire il picco, maggiore sarà l’impatto sulla economia, posto che, presumibilmente, fino alla disponibilità del vaccino (non basta infatti scoprirlo, ma bisogna produrlo e distribuirlo) non si potrà parlare di una vera ripartenza.

La situazione dal punto di vista economico è completamente nuova ed è piuttosto probabile che si verifichi, in mancanza di appropriati interventi, una situazione di questo tipo:

1. il panico e l’incertezza nelle famiglie e nelle imprese portano ad un crollo dei consumi e degli investimenti;

2. il tracollo della domanda porta a mancanza di liquidità, all’inesigibilità dei crediti e quindi a fallimenti e chiusure;

3. la disoccupazione cresce;

4. i redditi da lavoro crollano e la domanda si contrae ulteriormente.

Se non si interviene in maniera adeguata il rischio è quello di una serie consecutiva di cicli che ogni volta ci riportino al punto 1, e così via, innescando un circolo vizioso dal quale diventa sempre più difficile uscire.

Facciamo due conti

Impatto sul PIL:

immaginiamo che le attività economiche subiscano un crollo del 50% per un mese e del 25% per i due mesi successivi grazie a parziali riaperture (Gourinchas, 2020). Questa ipotesi è ottimistica e comporta che 

alla fine del terzo mese tutte le attività produttive siano attive 
che la domanda e l’offerta siano immediatamente riallineate, 
che non vi siano ondate successive. 
Di conseguenza il calo del PIL sarebbe pari ad un -8,4%. È evidente che questa ipotesi, a seconda dell’evolversi della situazione, deve essere corretta non solo nei tempi previsti, ma anche nell’impatto che deriva ai consumi, all’export, al turismo e così via. Allo stato attuale delle cose l’Ipotesi sopra descritta può essere considerata la più favorevole; in questo caso dobbiamo valutare un calo del PIL non inferiore al 10%. Quello che succederà dopo in termini di andamento della ricchezza prodotta dipende dalle scelte politiche e da quello che si riuscirà a realizzare. Senza mai dimenticare il non trascurabile effetto di una crisi che è globale e che vede nell’export e nel turismo fonti importantissime del PIL nazionale.

Vale la pena ricordare che la crisi del 2007, che ha interessato il sistema finanziario, ha portato ad un crollo del PIL del 4,5% ed a distanza di 13 anni non si avevamo ancora recuperato quanto perso.

Secondo una comune considerazione empirica dobbiamo mettere in circolazione tanta moneta quanta ne viene distrutta, ma per generare un effettivo rilancio bisogna investire in infrastrutture e nella manutenzione delle strutture esistenti, fisiche o virtuali, con progetti concreti, efficaci e qualificanti. Ricordiamo ancora una volta che il problema non è il debito, ma il rapporto tra questo ed il PIL. Gli investimenti devono proprio favorire la crescita del PIL.

Interventi urgenti:

in questo scenario ottimistico è assolutamente necessario che vi siano alcuni interventi immediati:

● si garantiscano alle famiglie che abbiano perso ogni fonte di reddito o la possibilità di sospendere il pagamento delle tasse, dei tributi e dei mutui o la liquidità necessaria per pagare gli affitti ed i consumi essenziali

● si garantiscano alle aziende, soprattutto a quelle piccole e nuove, anche in mancanza di ricavi dovuti alla chiusura obbligatoria o la possibilità di pagare gli stipendi e di pagare i fornitori

Si attivino in tempi brevissimi i cantieri già finanziati.
La velocità con cui si interviene riduce notevolmente l’impatto negativo sulla vita delle persone e delle imprese.

Interventi contingenti di breve periodo:

● mettere in linea le strutture sanitarie e le dotazioni strutturali e di materiali di consumo per gestire una possibile ulteriore ondata

● finanziare gli interventi per garantire liquidità alle famiglie ed alle imprese

● mettere a punto un intervento fiscale significativo

Interventi strutturali:

Intervenire sulla spesa pubblica per liberare risorse, ma soprattutto metterne in discussione l’articolazione e l’efficienza. Non si tratta di un approccio a tagli lineari, ma di una profonda e radicale revisione dei processi burocratici per quanto riguarda la vita delle persone e delle aziende: dalla giustizia, alle professioni. L’intervento sui processi consente poi, a cascata, di ridefinire le voci di spesa di ognuno delle voci dei costi. Secondo Eurostat la spesa pubblica corrente nel 2019 in Italia vale il 45,5% del PIL, in aumento dello 0,7% sull’anno precedente. Tuttavia, non basta dire che spendiamo troppo, la qualità del risultato non è adeguata alla spesa. Non possiamo dimenticare, infatti, che la fonte della ricchezza di una nazione è il lavoro produttivo, quello finanzia la spesa pubblica. Se non aiutiamo le imprese e le persone a creare ricchezza non ci sarà possibilità di crescita
Finanziare gli interventi urgenti, contingenti e strutturali con un mix di strumenti per i quali andranno approfonditi gli aspetti tecnici e legali:
Messi a disposizione dall’UE
Emettere titoli di debito nazionali, destinati al mercato italiano, esenti da tasse anche nel futuro (si faceva fino al 1986, se non sbaglio). Questi titoli devono essere finalizzati a progetti di intervento specifici, prioritariamente strutturali, con tempi certi ed obiettivi concreti e misurabili, direttamente garantiti da Banca d’Italia
Emettere titoli di debito regionali, anche questi esenti da tasse. Questi titoli devono essere finalizzati a progetti di intervento specifici, prioritariamente strutturali, con tempi certi ed obiettivi concreti e misurabili, direttamente garantiti dalla Regione che li emette.
Vi è un ulteriore elemento fondamentale per finanziare adeguatamente gli interventi urgenti, contingenti e strutturali: la capacità di creare fiducia nel Paese e negli investitori. 

La Fiducia è l’asset fondamentale su cui si basano le relazioni sociali, non solo l’economia. Per ricreare fiducia dobbiamo fare: decidere e realizzare, non solo parlare! È l’impegno di ciascuno di noi che renderà concrete la azioni, non il vano chiacchiericcio. Abbiamo già dimostrato che in pochi anni, nel dopoguerra, abbiamo portato l’Italia ad essere un esempio. Forse erano altri uomini? Forse era un’altra classe politica? Questa della fiducia forse è la vera priorità per la ricostruzione ed il rilancio economico dell’Italia.

Fonte: nostre considerazioni basate su uno studio della LBS.
Autore: Antonio Catalani 18 aprile 2020
Non so perché, ma lockdown è una parola che mi è antipatica. Fa fine usarla, ma perché non dire blocco? È anche più breve, oltre ad essere italiano. Certamente, dire “chiudete tutto” è facile, ed è anche facile, per un certo verso, chiudere tutto. È stato indispensabile per appiattire la curva dei casi gravi, consentendo quindi alle strutture sanitarie di gestire una situazione drammatica. In questo breve appunto vogliamo dare qualche suggerimento agli imprenditori che vogliono prepararsi alla ripartenza formale, o a quelli che hanno deciso semplicemente di ripartire, chiedendo un’autorizzazione, credo prefettizia, contando sul fatto che questa volta, finalmente, l’inefficienza burocratica lavori a loro favore, a causa del grande numero di controlli da fare. Pensiamo ad aziende di produzione o di servizi, capannoni o studi professionali, con pochi dipendenti, da qualche unità a 50 persone. Queste rappresentano una ricchezza per la nazione e sono gran parte del tessuto imprenditoriale italiano. Far ripartire la produzione è certamente molto più complicato. In particolare ci sono 3 problemi: Se la filiera non funziona, anche se il tuo codice ATECO (strumento vecchio e poco adeguato) è autorizzato a lavorare, puoi solo produrre per magazzino, con le scorte che hai di materie prime e semilavorati, o con quello che riesci a procurarti. Se i tuoi clienti sono in una zona ancora chiusa o se esporti in nazioni che non sono attive, difficilmente i clienti acquisteranno, a meno che tu non sia un produttore di semilavorati o componenti ed i tuoi clienti vogliano prepararsi a ripartire; Il tempo è un fattore critico perché brucia liquidità e lascia spazio ad altri per impadronirsi dei nostri mercati È difficile pensare alla riapertura a produttività piena, non conosciamo ancora le regole precise, anche se possiamo immaginarle. Ad oggi non abbiamo la più pallida idea di quello che verrà dopo la fase due, ma è essenziale arrivare vivi alla nuova normalità. In realtà la struttura frammentata, che per certi versi è stata considerata un limite tipicamente nostro, comporta unità di ridotta dimensione. Possiamo quindi immaginare una maggiore facilità nel controllo e nella gestione nelle situazioni di emergenza come quelle che stiamo vivendo, potrebbe quindi, se sapremo lavorare bene, diventare un vantaggio per la ripartenza. Non è facile pensare che ci possa essere un modo di operare unico per la riapertura, vista la grande quantità di piccole e medie aziende italiane, che appartengono a settori diversi, che hanno quindi caratteristiche, situazioni e problemi dissimili. In questa situazione caotica certamente a volte dovremo improvvisare, tuttavia vale la pena provarci, se ci sono le condizioni di base, prima fra tutte la possibilità di investire. Il problema della riapertura, la cosiddetta fase due, va affrontato con urgenza. Non conta più la tipica scansione degli economisti in breve, medio e lungo periodo: è subito il tempo nel quale dobbiamo affrontare questo tipo di problemi. La prima domanda che l’imprenditore deve farsi è: vale la pena riaprire? Se riuscire a ripartire prima degli altri può dare un vantaggio: nuovi clienti, recupero di ricavi, crescita della quota di mercato, ci sono tuttavia alcuni problemi difficili da risolvere e quindi altri aspetti su cui riflettere. A volte infatti è più economico stare chiusi. Ci possono essere in un tempo ragionevole vantaggi in termini economici che compenseranno i costi certi della riapertura? Che io produca semilavorati o prodotti destinati al mercato, la mia filiera è attiva oppure produrrò solo per il magazzino? Sto utilizzando bene le mie scorte e la mia liquidità oppure le brucio entrambe senza un reale vantaggio? Questa valutazione, evidentemente, dipende dalla singola impresa. La scelta del quando riaprire, a prescindere dalle decisioni ufficiali, segue la regola che “il meglio è nemico del bene”. Bisogna decidere pensando che anche una soluzione non perfetta, ma ragionevole, in tempo di crisi è preferibile al perdersi nel ponderare metodi e cercare una soluzione ottima. L’importante è tener conto sempre della liquidità e del mercato. Dobbiamo imparare a decidere senza aspettare che qualcuno decida per noi o che un concorrente, anche di altre nazioni, si avvantaggi troppo. Non sono domande semplici, ma chi ha detto che fare impresa lo sia? Prima di riaprire crediamo che ci siano delle cose importanti da fare, anche queste con urgenza: Monitorare le attività della nostra filiera, cioè dei fornitori e degli acquirenti. Se la filiera non è attiva, per una qualsiasi ragione o non abbiamo scorte a sufficienza, conviene aspettare; Facciamo un check del livello di digitalizzazione dell’azienda, vediamo come possiamo migliorarlo e verifichiamo il livello di preparazione dei nostri dipendenti. Dopo, ci dicono, non sarà più come prima. Non lo sappiamo, ma è un’ottima opportunità per migliorare un’area della nostra azienda che spesso è troppo arretrata: dalle videoconferenze ai gestionali, anche semplici. Approfittiamo di questa scomoda inattività per ripensare alla nostra organizzazione, ai prodotti che offriamo, ai fornitori di cui ci serviamo, ai processi che abbiamo messo a punto nel tempo. Le aziende spesso, distratte dalla attività quotidiana, hanno acquisito delle abitudini non sempre virtuose. Da quanto tempo non ripensiamo ai prodotti che proponiamo al mercato, spesso alcuni di questi sono poco importanti sia per il margine che producono, sia per il loro valore strategico. Quanti fornitori sono diventati un’abitudine, e non ci guardiamo più attorno per verificare se ci sono altre possibilità? Certo, saremo obbligati a mettere in discussioni processi, abitudini, centri di potere che si sono creati all’interno, ma vale la pena ripensare a tutte le inefficienze che, naturalmente, abbiamo accumulato negli anni. Prendiamo il bilancio e guardiamo con attenzione al dettaglio dei costi. Dove possiamo tagliare per recuperare le risorse da investire? Quella fiera, quelle pagine pubblicitarie, quelle riunioni con i venditori, quelle spese di rappresentanza servono? Dobbiamo cancellarle o dobbiamo trovare il modo per renderle più produttive? E così per tutte le voci di costo. Nel frattempo, mettiamo a punto un piano per la riapertura. Sappiamo che la produttività all’inizio forse non sarà elevata; lo stato d’animo dei dipendenti, la fiducia che hanno nelle scelte dell’azienda in termini di sicurezza e di organizzazione del lavoro contribuiscono molto a tenerla alta. Da subito comunicate con i vostri collaboratori, spiegategli cosa state facendo, fatevi sentire partecipe delle loro insicurezze. Restate in contatto con i fornitori ed i clienti principali, informateli ed informatevi sulla situazione che vivono. Appena possibile attivate il lavoro da casa. Non è più un problema di ore di lavoro, ma di capacità dei singoli o dei dipartimenti di raggiungere obiettivi che dovrete assegnargli. Si illude chi pensa che questo cancellerà le modalità tradizionali, ma certamente si sta sviluppando molto ed è certamente molto utile. Il lavoro è anche colleghi, ambiente di lavoro, condivisione di una cultura. È un elemento sociale importantissimo, non è solo un fattore tecnico-produttivo. Individuate un medico che collabori attivamente nel presidiare le problematiche sanitarie all’interno dell’azienda. Chiedetegli di fare test periodici al personale e, perché no, anche se con minore frequenza ai membri delle loro famiglie Riorganizzate il layout produttivo o degli uffici per garantire la distanza interpersonale ed i flussi di lavoro Acquistate i dispositivi di protezione individuali più adeguati ed in numero sufficiente (garantitevi le forniture). Organizzate il piano di sanificazione degli ambienti e procuratevi i materiali necessari Se necessario organizzate gli orari di lavoro e le entrate per suddividere i flussi Valutate l’utilità e la convenienza di una copertura assicurativa. L’inattività non è consentita: per gli imprenditori oggi come mai è uno spreco. È difficile prevedere per quanto tempo dovremo lavorare in condizioni cui non siamo abituati, e non abbiamo ancora idea di quale sarà la nuova normalità. È praticamente impossibile che un’ordinanza riesca ad affrontare con soluzioni adeguate i problemi che imprenditori e lavoratori dovranno affrontare. La creatività e l’impegno di ognuno saranno strumenti preziosi per risolvere questi problemi. Questa situazione deve essere gestita con regole definite, ma con un grande impegno dei singoli imprenditori nel trovare le soluzioni migliori per la specifica situazione. Lo scambio delle esperienze individuali, la condivisione anche degli errori commessi potrebbe essere una chiave per accelerare il superamento dei problemi. Questo potrebbe essere un nuovo spazio per le associazioni e per le istituzioni.
Autore: Antonio Catalani 16 aprile 2020
La situazione attuale La crisi che stiamo vivendo, ormai è chiaro a tutti, ha caratteristiche di eccezionalità per l’imprevedibilità della sua durata, per l’estensione globale e per la forzata interruzione di un grande numero di attività. La metafora della guerra, anche se suggestiva, non ci aiuta a comprendere come gestire il dopo, che potrebbe essere molto drammatico per le famiglie e le imprese. I motivi fondamentali sono: ● dopo la guerra vi è la ricostruzione, quindi la necessità di far ripartire attività produttive ad alta intensità di lavoro e non solo di capitali; ● durante la guerra l’industria delle armi produce molto e consuma molto; ● le guerre hanno sempre prodotto innovazioni tecnologiche che poi hanno avuto una pronta applicazione sulle attività produttive verso il mercato; ● lo spirito della ricostruzione è positivo ed è caratterizzato dal fare per il futuro. È evidente che nel nostro caso, pure se l’industria della salute è pienamente attiva, non ha né le caratteristiche di consumo, né quelle di generare innovazione. anche se in realtà questa crisi ci stimolerà a mettere a punto innovazioni di tipo organizzativo e relazionale. Non dobbiamo ricostruire il patrimonio edilizio o gli stabilimenti di produzione ed è difficile prevedere come ne usciremo dal punto di vista psicologico. Il primo impegno è quello di appiattire la curva dell’epidemia per consentire agli ospedali di organizzare in maniera adeguata le strutture per l’emergenza: questo implica un notevole dispendio di tempo. Tuttavia, maggiore sarà il tempo necessario per appiattire il picco, maggiore sarà l’impatto sulla economia, posto che, presumibilmente, fino alla disponibilità del vaccino (non basta infatti scoprirlo, ma bisogna produrlo e distribuirlo) non si potrà parlare di una vera ripartenza. La situazione dal punto di vista economico è completamente nuova ed è piuttosto probabile che si verifichi, in mancanza di appropriati interventi, una situazione di questo tipo: 1. il panico e l’incertezza nelle famiglie e nelle imprese portano ad un crollo dei consumi e degli investimenti; 2. il tracollo della domanda porta a mancanza di liquidità, all’inesigibilità dei crediti e quindi a fallimenti e chiusure; 3. la disoccupazione cresce; 4. i redditi da lavoro crollano e la domanda si contrae ulteriormente. Se non si interviene in maniera adeguata il rischio è quello di una serie consecutiva di cicli che ogni volta ci riportino al punto 1, e così via, innescando un circolo vizioso dal quale diventa sempre più difficile uscire. Facciamo due conti Impatto sul PIL: immaginiamo che le attività economiche subiscano un crollo del 50% per un mese e del 25% per i due mesi successivi grazie a parziali riaperture (Gourinchas, 2020). Questa ipotesi è ottimistica e comporta che alla fine del terzo mese tutte le attività produttive siano attive che la domanda e l’offerta siano immediatamente riallineate, che non vi siano ondate successive. Di conseguenza il calo del PIL sarebbe pari ad un -8,4%. È evidente che questa ipotesi, a seconda dell’evolversi della situazione, deve essere corretta non solo nei tempi previsti, ma anche nell’impatto che deriva ai consumi, all’export, al turismo e così via. Allo stato attuale delle cose l’Ipotesi sopra descritta può essere considerata la più favorevole; in questo caso dobbiamo valutare un calo del PIL non inferiore al 10%. Quello che succederà dopo in termini di andamento della ricchezza prodotta dipende dalle scelte politiche e da quello che si riuscirà a realizzare. Senza mai dimenticare il non trascurabile effetto di una crisi che è globale e che vede nell’export e nel turismo fonti importantissime del PIL nazionale. Vale la pena ricordare che la crisi del 2007, che ha interessato il sistema finanziario, ha portato ad un crollo del PIL del 4,5% ed a distanza di 13 anni non si avevamo ancora recuperato quanto perso. Secondo una comune considerazione empirica dobbiamo mettere in circolazione tanta moneta quanta ne viene distrutta, ma per generare un effettivo rilancio bisogna investire in infrastrutture e nella manutenzione delle strutture esistenti, fisiche o virtuali, con progetti concreti, efficaci e qualificanti. Ricordiamo ancora una volta che il problema non è il debito, ma il rapporto tra questo ed il PIL. Gli investimenti devono proprio favorire la crescita del PIL. Interventi urgenti: in questo scenario ottimistico è assolutamente necessario che vi siano alcuni interventi immediati: ● si garantiscano alle famiglie che abbiano perso ogni fonte di reddito o la possibilità di sospendere il pagamento delle tasse, dei tributi e dei mutui o la liquidità necessaria per pagare gli affitti ed i consumi essenziali ● si garantiscano alle aziende, soprattutto a quelle piccole e nuove, anche in mancanza di ricavi dovuti alla chiusura obbligatoria o la possibilità di pagare gli stipendi e di pagare i fornitori Si attivino in tempi brevissimi i cantieri già finanziati. La velocità con cui si interviene riduce notevolmente l’impatto negativo sulla vita delle persone e delle imprese. Interventi contingenti di breve periodo: ● mettere in linea le strutture sanitarie e le dotazioni strutturali e di materiali di consumo per gestire una possibile ulteriore ondata ● finanziare gli interventi per garantire liquidità alle famiglie ed alle imprese ● mettere a punto un intervento fiscale significativo Interventi strutturali: Intervenire sulla spesa pubblica per liberare risorse, ma soprattutto metterne in discussione l’articolazione e l’efficienza. Non si tratta di un approccio a tagli lineari, ma di una profonda e radicale revisione dei processi burocratici per quanto riguarda la vita delle persone e delle aziende: dalla giustizia, alle professioni. L’intervento sui processi consente poi, a cascata, di ridefinire le voci di spesa di ognuno delle voci dei costi. Secondo Eurostat la spesa pubblica corrente nel 2019 in Italia vale il 45,5% del PIL, in aumento dello 0,7% sull’anno precedente. Tuttavia, non basta dire che spendiamo troppo, la qualità del risultato non è adeguata alla spesa. Non possiamo dimenticare, infatti, che la fonte della ricchezza di una nazione è il lavoro produttivo, quello finanzia la spesa pubblica. Se non aiutiamo le imprese e le persone a creare ricchezza non ci sarà possibilità di crescita Finanziare gli interventi urgenti, contingenti e strutturali con un mix di strumenti per i quali andranno approfonditi gli aspetti tecnici e legali: Messi a disposizione dall’UE Emettere titoli di debito nazionali, destinati al mercato italiano, esenti da tasse anche nel futuro (si faceva fino al 1986, se non sbaglio). Questi titoli devono essere finalizzati a progetti di intervento specifici, prioritariamente strutturali, con tempi certi ed obiettivi concreti e misurabili, direttamente garantiti da Banca d’Italia Emettere titoli di debito regionali, anche questi esenti da tasse. Questi titoli devono essere finalizzati a progetti di intervento specifici, prioritariamente strutturali, con tempi certi ed obiettivi concreti e misurabili, direttamente garantiti dalla Regione che li emette. Vi è un ulteriore elemento fondamentale per finanziare adeguatamente gli interventi urgenti, contingenti e strutturali: la capacità di creare fiducia nel Paese e negli investitori. La Fiducia è l’asset fondamentale su cui si basano le relazioni sociali, non solo l’economia. Per ricreare fiducia dobbiamo fare: decidere e realizzare, non solo parlare! È l’impegno di ciascuno di noi che renderà concrete la azioni, non il vano chiacchiericcio. Abbiamo già dimostrato che in pochi anni, nel dopoguerra, abbiamo portato l’Italia ad essere un esempio. Forse erano altri uomini? Forse era un’altra classe politica? Questa della fiducia forse è la vera priorità per la ricostruzione ed il rilancio economico dell’Italia. Fonte: nostre considerazioni basate su uno studio della LBS.